Lo stato dell’arte del cortometraggio in Italia, il talento e nuove (possibili) prospettive per il cinema

Il quarto membro della giuria, chiamato insieme a Cosimo Terlizzi, Simone Bozzelli e Annalisa Zito a scoprire e premiare le nuove visioni fra i cortometraggi in concorso a questa edizione di  The Next Generation è Beatrice Fiorentino.

Beatrice Fiorentino, giornalista freelance e critica cinematografica (SNCCI), ha insegnato linguaggio cinematografico e audiovisivo all’Università del Litorale di Capodistria e oggi scrive per «8 e ½», «Artribune», «Cinecittà News», «Il manifesto», «Il Piccolo». Nel 2014 ha ricevuto il Premio Akai come Miglior critico cinematografico alla 71a Mostra del Cinema di Venezia, Dal 2015 cura “Nuove Impronte”, sezione di ShorTS – International Film Festival, dedicata ai talenti emergenti del cinema italiano e fa parte della Commissione di selezione della Settimana Internazionale della Critica di Venezia (per il triennio 2016-2018 e per il successivo 2019-2021) e della Commissione “Film della Critica” del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani.

Con lei abbiamo parlato dello stato dell’arte del cortometraggio in Italia, di talento e di nuove prospettive per il cinema.

Il cortometraggio, per dirla con le parole del critico Gianni Volpi, «è un cinema tra i più inquietanti e necessari: non specchio, ma sismografo di ciò che si muove», è il segno dell’attualità del cinema, capace di rilevare le metamorfosi, i cambiamenti, le contaminazioni fra vari territori e linguaggi. In base alla tua esperienza di critica cinematografica, docente e selezionatrice per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia, qual è lo stato del corto oggi in Italia e perché, al di fuori dei festival, continua a essere percepito in maniera riduttiva, semplicemente come forma breve, preludio del lungometraggio?

Da quattro anni alla Settimana della Critica abbiamo dato il via, in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà, a una vera e propria sezione nella sezione che si chiama SIC@SIC che sta per Short Italian Cinema at Settimana Internazionale della Critica: questa non è solo una forma di attenzione al mondo del cortometraggio, al sottobosco produttivo, al cinema indipendente, ma crediamo che sia anche un’opportunità di indagine e di scoperta che si sposa bene con la natura della missione stessa della Settimana della Critica, che, occupandosi di opere prime, scommette sul cinema e sui cineasti del futuro.
Forse nel caso dei cortometraggi la sfida è ancora più accesa perché si tratta di andare proprio a cercare la scintilla e, ancora più che nel lungometraggio, nel corto deve esserci una fiducia totale nelle immagini e nell’uso della macchina da presa, si è più istintivi e bisogna andare direttamente al nucleo centrale del cinema e del racconto. Penso che, da quanto emerge dal lavoro che abbiamo portato avanti in questi quattro anni, ne usciamo confortati e rassicurati: ci siamo resi conto, infatti, che, scremando molto, un movimento, una possibilità c’è, in una forma anche libera e poco schematica, magari più insolita, più anarchica rispetto a molti esordi che palesemente cercano una forma di racconto più chiusa, più solida, più rassicurante, però anche molto meno eccitante. Certo, sarebbe bello – e forse i tempi ormai cominciano a essere maturi – che si cominciasse a rischiare ancora di più, a guardarsi intorno, a quello che succede all’estero (ma alcuni già lo fanno), a esplorare forme più aperte. Eppure comunque, nomi che abbiamo incontrato nel nostro percorso (cito per esempio Tommaso Santambrogio, Chiara Marotta, Loris Giuseppe Nese, Tommaso Perfetti, Rossella Inglese, Chiara Leonardi, Elio Di Pace, Hleb Papou, Riccardo Giacconi, Alessandro Di Gregorio…) sono talenti che, ciascuno a modo suo, hanno tutti in comune la forza di osare, di guardare altrove, di non cercare conforto nell’ovvio, nel consolidato. Sono talenti che non cercano sicurezza: il cinema e l’arte devono scuotere, non devono dare, appunto, sicurezza.
Il fatto di identificare il corto con il preludio al lungometraggio e quindi di non ritenerlo ancora una forma di racconto a sé con i suoi tempi, con le sue esigenze narrative, con la sua necessità di essere sviluppato secondo regole e codici propri – è vero, è molto diffuso –, credo sia un male che spesso parte dall’aspirante regista stesso. Mi è capitato di vedere giovani registi che a volte sono accecati dall’ambizione, dall’ansia di prestazione prima ancora di raggiungere il minimo traguardo, devono proprio dimostrare di essere bravi prima ancora di guardarsi dentro, Cioè girano i corti non per l’urgenza di raccontare una storia, di osservare il mondo ma per andare ai David di Donatello. Ecco, purtroppo così non si va da nessuna parte, c’è bisogno di andare incontro alla libertà e soprattutto bisogna cercare di inventare un nuovo cinema più leggero e, forse, anche con regole produttive e distributive diverse. Qualcosa sta succedendo ma siamo ancora in mezzo al guado.

Cosa colpisce maggiormente la tua sensibilità quando guardi un’opera cinematografica?

Mi colpiscono il coraggio e soprattutto il gusto per l’immagine (fondamentale) ma anche l’incoscienza e persino la sfacciataggine, quando c’è talento. A un film, lungo o corto che sia, chiedo comunque qualcosa e questa non è una richiesta facile in un periodo in cui ormai tutto veramente è stato fatto e detto, anzi semmai oggi viviamo nell’eccesso opposto, continuamente immersi in un flusso inarrestabile di immagini, opinioni, di idee… Però, ecco, io al cinema chiedo di fare un passo in avanti e di farsi segno, di farsi portatore di uno sguardo sul mondo, personale ma anche universale, preciso, caotico ma comunque forte.

The Next Generation vuole dare spazio ai videomaker emergenti, scoprire nuovi talenti e linguaggi attuali e “misurare la temperatura” della cinematografia indipendente in Italia. Cosa ti aspetti da questa edizione del festival?

Per l’appunto, mi aspetto coraggio, gusto per l’immagine, incoscienza. Mi aspetto di sentir vibrare l’energia. Mi sembra un festival molto giovane e quindi mi aspetto di trovare un’attenzione al nuovo.

Che suggestioni richiama per te il tema scelto per l’edizione di quest’anno: “Geografie”, intese come mappature da(e)l mondo contemporaneo?

“Geografie” evoca in me la necessità di assenza di confini, in qualsiasi termine. È una necessità che sento venire dal mondo, chiede di essere unito e non diviso, che chiede l’urgenza di un confronto. Mi fa venir proprio voglia di vederci uniti tutti – corpi, identità, generi –, tutti uniti in grande abbraccio. Anche cinematograficamente spero di trovare lo specchio di una nuova realtà, che risponde a questo bisogno di un mondo senza confini.