Il film di Pablo Larraín è una successione di immagini visivamente potenti ed emozionali che sfugge a ogni classificazione e sconfina in territori cinematografici finora sconosciuti al regista cileno.

Dal lancio della call di The Next Generation, abbiamo cercato nell’arte contemporanea e nelle opere audiovisive (più o meno famose) spunti ed esempi che potessero spiegare meglio, oltre il linguaggio verbale, il senso profondo e sfuggente della suggestione lanciata per questa edizione del festival: UNTITLED. E il caso ha voluto che proprio in questi giorni, a meno di un mese dalla fine della nostra call (la deadline è il 30 settembre), nelle sale italiane venisse proiettato Ema di Pablo Larraín. Un film che nella struttura, nelle scelte stilistiche ma anche nell’effetto spiazzante che provoca in chi guarda, mettendone in discussione le certezze, incarna alla perfezione l’untitled.

«Inclassificabile» è l’aggettivo che forse meglio può rappresentare Ema, l’ultimo lungometraggio di Pablo Larraín. Un percorso espressivo fuori da ogni etichetta in cui il regista si sente completamente libero di sconfinare oltre le forme e i territori cinematografici battuti fino ad ora, lasciando emergere la propria eccentricità ma anche la propria fragilità e un senso di crisi e di inadeguatezza.

Presentato alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Ema – si legge nelle note di regia – è «una meditazione sul corpo umano, sulla danza e sulla maternità», messa in scena attraverso una eroina anarchica, profondamente radicata nella confusione.

Ema (Mariana Di Girolamo) è una giovane ballerina che decide di separarsi da Gastón (Gael García Bernal) dopo aver rinunciato a Polo, il figlio che avevano adottato ma che non sono stati in grado di crescere. Per le strade della città portuale di Valparaíso, la ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa.

Queste sono le premesse, ma non è sulla componente narrativa che si regge il film, quanto su una successione di immagini visivamente potenti ed emozionali, che seguono una gamma psichedelica e fluorescente di colori che esplode grazie alla musica di Nicolas Jarr e la danza reggeaton, con un linguaggio visivo che dal videoclip deborda nel cinema.

In Ema Pablo Larraín sfrutta a pieno i mezzi a disposizione del cinema (la musica, il montaggio, la fotografia) per realizzare un’opera fragile, dolente e perturbante, sempre in bilico fra realtà e metafora e mai risolta, in cui lo stile e le forme della rappresentazione diventano la sostanza del film.